5.22.2003

La Habana

Nei muri di La Habana i seni cadenti di una vechia. Nelle strade le pieghe delle mani cotte da un sole impietoso. Le lacrime di occhi cisposi ed arrossati nei tombini che non raccolgono l'acqua di un temporale. Nelle case la storia di una ricchezza che fù e che non è più. Nel popolo una violenza che si traduce in ironia. L'attesa dello straniero che forse gli regalerà il modo per campare. Vestiti consumati da tanti lavaggi. Culi perfetti, culi abbondandi, culi straripanti. Il culo di Laima che si muove come una betoniera. Notti che trasudano sesso di ogni tipo e specie. Io, qui, dopo due giorni, che sopporterò sempre meno i falsi problemi del mio paese. Io che non dormo per non perdere l'incanto dell'alba sul Capitolio così ben visibile da casa di Biqui, che non dormo per non perdere la magia della notte, che non dormo per non perdere neppure un alito di questa città che si sveglia ogni giorno in modo uguale e differente al tempo stesso. Non sono in vacanza, sono finalmente a casa, sono finalmente in un luogo dove il cervello si fonde con il resto di me, si riposa, si pulisce, si prepara a vivere ed a ringiovanire.