Eh già il silenzio
Eh già: il silenzio!
Oggi lo sento così: è il momento in cui, appena finito di espirare l'aria che hai nei polmoni, rimani per un istante nell’attesa di riprendere fiato.
Come se in quell'attimo tu potessi decidere se assorbire o no altra energia vitale. Fai rumore quando inspiri ed ancora di più quando espiri; cala un momento di silenzio solo quando stai nell’attesa tra i due eventi. Un'attesa inconscia, automatica, naturale. Durante questa è come se il tuo corpo riprendesse coscienza del suo modo di essere, come se la consapevolezza di vivere fosse per lui concentrata nel momento dell'assenza, del silenzio, appunto. Ed è una fase del tutto naturale, tanto da essere solitamente ignorata dalla razionalità. Necessaria, però; senza di essa non ci sarebbe il passaggio al tempo successivo, fatto di nuova aria, di un nuovo ciclo di vita, dalla ripresa del rumore e dell'azione. E poi qualcuno, te in particolare, sente dentro l'impulso di percepire anche questi momenti e di scambiarli per tristezza come se facesse parte dell'abitudine a vivere. Ed è realmente così che funziona il giocattolo del nostro esserci o non esserci: per sé, per gli altri, da soli o con chi si ama. Il ciclo è naturale ed il malessere anche ma s’impara in fretta a controllarlo ed a conviverci: pensa alla fatica dei neonati quando iniziano a prendere per la prima volta l'aria e che a volte se ne dimenticano persino, tanto è inusuale per loro quel gesto. Poi si abituano non perché lo vogliano ma solo per sopravvivere, perché e naturale che avvenga. Il resto è sovrastruttura culturale che si aggiunge dopo e con cui dobbiamo fare i conti per sempre. E non servono palliativi o contraltari, né materiali né ideologici che aggiungono solo altro ciarpame alla corte della raccolta rifiuti che, ad un certo punto, riempie la vita di ognuno di noi. Noi così concentrati a rimettere i rifiuti nell'ordine che in quel momento più ci appartiene. Avvezzi ad un orizzonte che non spazia oltre i confini della discarica. Dediti a creare nuovi confini ancor più ristretti, come se nella nostra vita dovessero entrare solo cumuli di lattine di bibita ben separati dalle bottiglie di plastica, dagli stracci, dall'osso di pollo, dalla scarpa vecchia, dall'ago e dalla siringa. Immemori della loro storia e di quanto hanno prodotto nella nostra vita. Siamo ciò che diventiamo e l’unico spazio che ci è dato per avere consapevolezza di noi stessi è quel breve silenzio tra un’azione e l’altra, assoluto, inevitabile, vero, doloroso e naturale. Poi ricominciamo a diventare qualcos’altro, non fosse che per il tempo trascorso.
Attento a dove butti le bottiglie di vino vuote che sanno essere contundenti almeno quanto sono dolci e consolatorir da piene.